Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Oggetti-simbolo:
produzione, uso e significato
nel mondo antico
a cura di
Isabella Baldini Lippolis, Anna Lina Morelli
ESTRATTO
Ornamenta
3
Con il contributo di
© 2011 Ante Quem soc. coop.
Ante Quem soc. coop.
Via San Petronio Vecchio 6, 40125 Bologna - tel. e fax +39 051 4211109
www.antequem.it
redazione e impaginazione: Enrico Gallì, Cristina Servadei
ISBN 978-88-7849-056-7
Finito di stampare nel mese di maggio 2011 da Officine Grafiche Litosei, Rastignano (Bo)
Impianti: Color Dimension, Villanova di Castenaso (Bo)
INDICE
Isabella Baldini Lippolis, Anna Lina Morelli
Introduzione
7
Lorenza Ilia Manfredi
Le monete puniche e neopuniche riutilizzate
nei contesti tombali di Ibiza
9
Simona Russo
Gioielli e papiri
29
Daniela Rigato
Tra pietas e magia: gemme e preziosi offerti alle divinità
41
Cinzia Cavallari, Caterina Cornelio Cassai
Gemme e preziosi di età romana da Bononia:
i contesti archeologici degli scavi della nuova Stazione
57
Irene Somà
Aurea mediocritas: le immagini delle Augustae
in metalli nobili tra autorappresentazione e omaggio al potere
89
Anna Lina Morelli
La patera di Rennes: analisi numismatica
105
Luigi M. Caliò
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
129
Adelmo Garuti, Gian Lorenzo Calzoni
Una copia della patera di Rennes
151
3
Erica Filippini
Ritratti di Augustae nella gioielleria monetale di età romana:
raccolta e sintesi preliminare di dati
Claudia Perassi
L’anello da Amiens.
Un caso di studio della gioielleria monetale romana
173
Beatrice Girotti
I ritratti di Zenobia nella Historia Augusta
tra simbologia e inventio
195
Isabella Baldini, Joan Pinar Gil
Spilloni con pendenti da contesti funerari della Romagna:
una prima riflessione
211
Veronica Zanasi
Anelli nuziali tardoantichi: uso e significato
229
Dieter Quast
Symbolic Treasures in Barbarian Burials (3rd-7th century AD)
253
Paolo de Vingo
Objets de tradition et objets de la transition
dans les pratiques de la classe aristocratique lombarde
masculine sur le territoire piémontais
269
Manuela Catarsi
Elementi di cinture ageminate
dalle necropoli longobarde dell’Emilia occidentale
Appendice: Le analisi chimiche di Paolo Zannini
315
Federica Pannuti
Lamine auree bizantine dalla Calabria
337
Daniela Ferro
Perizia Tecnica e Sapere Scientifico nel gioiello antico
353
4
Indice
Carla Martini, Gian Luca Garagnani
Archeometallurgia: metodi di indagine, casi di studio
e raccolta dati per il database JiC
369
Anna Maria Capoferro Cencetti
I camei in lava del Vesuvio: storia e mito, arcano e realtà
375
Paola Porta
Ancora sull’arte anglosassone: il calice di Tassilone
421
Alessandro Pacini, Marco Casagrande
Tecniche di ricostruzione del crescente lunare in oro
del Fayum (I secolo d.C.)
437
Maria Teresa Guaitoli, Franco Marzatico
I monili “in Mostra”: l’eloquenza degli ornamenti
nella comunicazione museale
455
Cap. Carmelo Manola
Il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
467
5
LA PATERA DI RENNES. UNO STUDIO ICONOLOGICO
Luigi M. Caliò
ABSTRACT: The patera of Rennes is an object of great iconographic complexity
which is to be interpreted within its own cultural system. Imperial portraits on the
mounted coins, the Dionysiac decoration of the ornament and the images of
Hercules and Bacchus concur to create an original representation which can be
interpreted in the field of the transformation of the Imperial figure in the Roman
world between the end of the 2nd century and the beginning of the following one.
Ancient sources and the representations in both the public and private spheres
insist upon a salvific and mysterious interpretation of the living emperor, who
receives an official cult next to his ancestors in Gaul.
KEYWORDS: Toreutics, Regality, Mystery cults, Dionysism, Herakles.
La patera di Rennes è un reperto eccezionale soprattutto per la
sua organizzazione formale (fig. 1). Completamente lavorata, presenta un tondo centrale con Hercules e Bacchus che bevono durante un
simposio, circondato da un fregio circolare con thiasos dionisiaco e
una decorazione ancora più esterna con la serie di monete imperiali.
Le diverse rappresentazioni che ne costituiscono la decorazione figurata concorrono a organizzare un sistema di segni complesso, la cui
interpretazione, ovvia per gli antichi, rischia di sfuggire se non si pone
attenzione alla struttura complessiva dell’oggetto e al sistema culturale che ne è alla base.
Il tondo centrale, il fregio e le monete incastonate portano segmenti di significato che sembrano chiarirsi solo a una lettura che
tenga conto del rapporto reciproco dei singoli elementi.
In particolare, la presenza di una così importante serie monetale
sul bordo è un hapax nella decorazione di un oggetto di toreutica1. Le
1
Anche se diverse testimonianze sembrano richiamare una pratica poco riconoscibile. Maria Teresa Marabini Moevs (MARABINI MOEVS 1980, in particolare pp. 321323 e nota 31) ha riunito intorno ad un frammento di sigillata tardo italica da Cosa
con l’impressione di una moneta bronzea di Sabina del 128-137 una serie di esempi di ceramica con monete impresse o imitate e che provengono per la maggior
129
Luigi M. Caliò
Fig. 1. Patera di Rennes. Su licenza della Bibliothèque nationale de France
parte dalla Gallia e in seconda istanza dalla Spagna. Forse gallica piuttosto che
aretina è una coppa da Arezzo con girali vegetali accanto a monete impresse. In
Gallia la sigillata tarda (Chiara B) proveniente dalla valle del Rodano presenta una
produzione di applique di cui alcune a chiara imitazione numismatica, mentre a
Roanne è stato rinvenuta una coppa decorata con motivi vegetali che fuoriescono
da un elemento decorativo formato dall’impressione di una moneta con aquila.
Questa diffusione del tipo in Gallia è comunque significativo del contesto culturale in cui la Patera deve essere inserito. Agli esemplari citati dalla Marabini Moevs
si può forse aggiungere uno specchio bivalve decorato con due medaglioni monetari con scena di allocuzione e ritratto di Nerone di provenienza sconosciuta a
Toulouse (ÁLVAREZ MARTINES, CAZES, TARRATS BOU 1996, p. 135).
130
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
monete sulla patera acquistano dalla propria ricontestualizzazione
uno specifico significato, che tuttavia può essere inteso solo se si
parte dal loro normale sistema d’uso.
Il ritratto sul recto, infatti, richiama direttamente la presenza imperiale e sotto l’aspetto giuridico può avere la stessa valenza delle statue ritratto ufficiali. Tale prerogativa diveniva più stringente se la
moneta era incastonata in un monile. Le fonti antiche riportano alcuni
episodi in cui l’uso non corretto del metallo coniato ha recato nocumento al proprietario, accusato di empietà a causa di un comportamento scorretto di fronte all’effige dell’imperatore. Nel caso di monete falsificate i padroni potevano essere denunciati dagli stessi schiavi
(Dig. 5. 1. 53) e la produzione di monete coniate appositamente per
uso orafo era inteso come crimen maiestatis, che nel codice teodosiano è un vero e proprio sacrilegio (Codex Theod. 9, 21, 9: falsae monetae rei, quos vulgo paracharactas vocant, maiestatis crimine tenentur
obnoxii): nel 219 Paetus Valerianus fu ucciso da Elagabalo perché
aveva fatto realizzare alcune medaglie in oro con la propria effige per
regalarle alle sue concubine e per le quali era stato accusato di volersi recare in Cappadocia e di voler così coniare monete con il suo ritratto2; anche chi fonde o trasforma monete per scopi diversi commette
atto di lesa maestà, punito con la decapitazione (Codex Theod. 9, 23,
1: quicumque vel conflare pecunias vel ad diversa vendendi causa
transferre detegitur, sacrilegii sententiam subeat et capite plectatur)3.
Non si tratta solo di punire una frode monetaria, ma di procedere contro un’offesa fatta all’imperatore; la causa è probabilmente da ricercare nella valenza sociale e culturale che le monete potevano avere proprio perché portatrici dell’immagine del principe. Il procedimento è
quindi analogo a quello utilizzato per i ritratti dell’imperatore, che sono
segno della sovranità e della presenza del sovrano stesso secondo
una concezione della regalità che dall’Asia protostorica continua fino
al periodo moderno4. Non solo, ma come in oriente così nell’Impero i
2
3
4
Cassio Dione, 79, 4.
BRUHN 1993, pp. 1-2 e nota 3. cfr. PRICE 1984, p. 202; KUHN 1901, p. 156.
Questo stretto rapporto tra statua dell’imperatore e ritratto monetale è ribadito con
forza dal racconto da parte di Filostrato di un episodio della vita di Apollonio di
Tiana. Costui infatti, giunto ad Aspendos in Panfilia, trova la città sollevata contro
il governatore perche non si trovava più grano; correndo il pericolo di essere bruciato vivo questo si rifugia presso «le statue dell’imperatore, che a quel tempo
erano più temibili e inviolabili dello Zeus di Olimpia. Erano infatti di Tiberio, sotto il
cui regno si racconta che un tale fosse accusato di empietà poichè aveva percos131
Luigi M. Caliò
ritratti del dinasta sembrano essere essi stessi persona giuridica, prescindendo così dall’esistenza in vita del sovrano: possono essere
invocati come testimoni, come fece Apuleio nella sua Apologia, o si
può giurare davanti ad essi. Non è inoltre possibile oltraggiarli o danneggiarli in alcun modo5. Pratiche come la proskynesis verso la statua
del sovrano sono presenti nel mondo asiatico e attraversano tutta
l’antichità fino alle cerimonie che si celebravano a Costantinopoli per
l’anniversario della fondazione della città6. Questo rende la patera un
oggetto prezioso non solo per il suo valore intrinseco, ma soprattutto
come cimelio, oggetto che riceve un valore aggiunto dal sistema culturale (e normativo) in cui è inserito.
La serie di monete incastonate costituisce di fatto una galleria di
ritratti di imperatori della casa dei Severi e di dinasti a partire da Adriano,
una successione di immagini che ricorda l’epifania delle eijkovnej portate in processione durante i misteri imperiali dai sebastofovroi si può
ricollegare anche alle numerose rappresentazioni in ambito privato testimoniate nel medio impero7.
La sequenza di ritratti imperiali trova un parallelo, forse anche per
funzione, in una serie di monete dedicate alla consecratio del principe, attribuite all’imperatore Traiano Decio, che ritraggono diversi
imperatori tra Augusto e Settimio Severo8. Solitamente tali monete
rappresentano la famiglia imperiale e solo con Antonino Pio anche il
proprio predecessore, tuttavia la serie di Decio comprende imperatori di diverse dinastie, deificati dal senato, partendo da Traiano, il
primo principe la cui figura assume un carattere universale e che
incarna la figura dell’optimus imperator. Questo fenomeno probabilmente trova le proprie radici nelle difficoltà che l’impero ha avuto
durante il III secolo soprattutto per quanto riguarda la successione e
che hanno reso necessario trovare un’associazione politica non più
solo con il proprio immediato predecessore, ma con tutti i principi
eccellenti che attraverso la propria auctoritas giustificano il dinasta
vivente. Nel racconto dell’ascesa al trono di Settimio Severo da parte
di Erodiano (libro II), l’imperatore si presenta a Roma come un homo
novus non potendo vantare la nobilità di famiglia degli altri preten-
5
6
7
8
132
so il suo servo che teneva su di sé una dracma d’argento con l’effige dell’imperatore» (Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, I, 15).
CALIÒ 2008, p. 522, n. 116.
DAGRON 1991, pp. 38-39. Cfr. CALIÒ 2008, pp. 521-522.
CALIÒ 2007, pp. 311-312.
DIMITRIEV 2004. Cfr. MACCORMACK 1995, pp. 148-149.
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
denti o dell’anziano Pertinace. Così, nell’iscrizione dedicatoria del
Septizodium, trasmessaci dal Codex Einsidlensis e da fonti più tarde,
Settimio Severo ricostruisce la propria genealogia proclamandosi
figlio di Marco Aurelio, fratello di Commodo, nipote di Antonino Pio e
discendente da Adriano, Traiano, Nerva9. La necessità di riorganizzare la propria legittimazione dinastica porta Severo e i suoi figli a un’attenzione particolare verso l’ultimo rappresentante degli Antonini, il
cui nome viene riabilitato, e della famiglia10. È proprio con i Severi,
d’altronde, che cresce l’importanza della domus imperiale che divenne Sacra e in alcuni casi Divina e che fu impregnata della stessa area
di sacralità che circondava lo stesso imperatore11. È proprio in quest’atmosfera che l’intreccio dinastico tra Augusti e Augustae che si
evince dall’organizzazione della sequenza delle monete acquista una
importanza particolare. La serie di Decio e quella della patera, pur
con sistemi diversi, si incanalano nel senso di una ricerca di legittimazione del proprio potere attraverso le immagini dei predecessori.
Questa pratica sembra enfatizzarsi già a partire da Alessandro
Severo che eresse statue colossali agli imperatori deificati sia nel
Foro di Nerva che nel foro di Traiano e che li venerava insieme con
filosofi e teosofi12.
Il processo di trasformazione culturale ha dunque ripercussione
anche nell’ambito del culto ufficiale, quando, in tempi relativamente
recenti, si organizza il culto dei Divi, forse a partire del regno di
Adriano13, che diventa la base del canone degli imperatores optimi.
La galleria di ritratti imperiali sulla patera di Rennes evidentemente
non è casuale, ma acquista importanti sfumature di significato grazie
al rapporto con gli altri temi decorativi e alla preziosità del materiale,
che va oltre il semplice valore suntuario e richiama di per se stesso la
sfera del divino14. Il fregio con thiasos dionisiaco partecipa attivamen-
9
10
11
12
13
14
LUSNIA 2004, p. 539.
LO CASCIO 2005, p. 139.
LO CASCIO 2005, p. 140.
SETTIS 1950; CALIÒ 2007, p. 316.
FISHWICK 1972, pp. 49-50.
Un rapporto, quello tra il vasellame d’oro e il mondo divino, che ha antichi echi: cfr.
Saffo (fr. 2, 13-7), Euripide, Troiane, 821. Così in oro era il vasellame da simposio
utilizzato durante la processione di Antioco Epiphanes descritta in Ateneo
(Deipnosophisti, V, 197b), e d’oro era anche la coppa da cui una statua colossale
di Dioniso versava una libagione e il servizio di banchetto che si trovava di fronte
alla stessa statua (ibidem, 198c-198d) e così anche le altre statue del corteo dionisiaco che seguiva (ibidem, 198f et passim).
133
Luigi M. Caliò
te a questo rapporto dialogico tra motivi iconografici e supporto e va
considerato all’interno di una più ampia analisi dell’intero oggetto.
Tali caratteristiche permettono di tentare un’esegesi di tipo iconologico che affronti un esame non meramente iconografico e in tale
ottica il rapporto tra effigi imperiali e iconografia dionisiaca appare
particolarmente dirimente.
Il fregio dionisiaco rappresenta una pompé trionfale con Bacchus
trasportato su carro e sileno semisdraiato su una cavalcatura. Il thiasos
che accompagna il dio è composto da baccanti e Sileni danzanti.
Bacchus viene raffigurato una seconda volta nel tondo centrale, in
compagnia di Hercules; il mondo dionisiaco connota così l’intero
apparato iconografico della patera, investendo anche i ritratti dei dinasti. È proprio dal II secolo, d’altronde, che il rapporto tra culto imperiale e culto dionisiaco si fa più stretto, con la riorganizzazione del primo
a imitazione del secondo. In questa fase infatti sembra prevalere piuttosto un aspetto misterico del culto imperiale che dal punto di vista del
rito si incentrava, probabilmente, nel trasporto della statua del sovrano
in processioni notturni illuminate da lampade15. Le testimonianze raccolte nel 1965 da H.W. Pleket16 lo portano ad ipotizzare in tali riti anche
la presenza delle effigi degli imperatori defunti e divinizzati (oi
Sebastoi). Il culto dell’imperatore si avvicina sempre più alle forme di
quello dionisiaco, con il quale in parte tende ad assimilarsi. Nelle iscrizioni dedicate al culto imperiale, come quella di un altare dal Tempio di
Augusto e Roma a Pergamo, vengono menzionati strumenti tipici del
rituale dionisiaco e in diverse iscrizioni, soprattutto di provenienza asiatica (Sardis, Afrodisia, Ankara, Chios), ma anche ateniese, è manifestata chiaramente la convergenza tra culto imperiale e dionisiaco.
¢gaqÁi tuvchi.
y»fisma tîn ¢pÕ tÁj o„koumevnej peri; to;n Diovnuson kai; AÙtokr£tora Traiano;n ‘Adriano;n Sebasto;n Kaivsara
nevon Diovnuson tecneitîn17
Tale identificazione non è esclusiva della sfera imperiale, ma ricorre spesso già nel sistema regale ellenistico. Ad Atene Alessandro
15
16
17
134
Per le lampadedromie in onore dell’imperatore cfr. SETTIS 1975, pp. 963-965.
PLEKET 1965.
Iscrizione di Ankara. Cfr. SEG 6,59 = IGRR 3, 209. Cfr. PRICE 1984; BRENT 1998, p. 8.
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
Magno era stato nominato con decreto Dioniso e l’immedesimazione
tra il dinasta e il dio perdura in periodo ellenistico, con Antigono, con
i Tolomei soprattutto, e con personaggi come Mitridate del Ponto,
per poi approdare con forza nel mondo romano18.
L’imperatore, nato da donna mortale19 ma d’essenza divina come
Dioniso20, si pone come elemento di mediazione tra il mondo terreno e
quello celeste ed è garante del sistema cosmologico. L’identificazione
a volte può giungere a perfetta pienezza, come in un sarcofago a
Baltimora nel quale Dioniso, di ritorno dall’impresa indiana, è incoronato da una Nike con una corona civica21 (fig. 2).
18
19
20
21
Sui rapporti tra Alessandro e culto dionisiaco è una testimonianza interessante la lettera di Olimpiade ad Alessandro riportata da Ateneo (XIV, 659f) dove la regina raccomanda il cuoco Peligna, esperto dei riti tradizionali degli Argeadi ma anche di quelli
bacchici. Cfr. FREDRICKSMEYER 1966; GAGÉ 1975, pp. 7-8. Sul legame tra Argeadi e le
due divinità cfr. anche WEINSTOCK 1957, pp. 214-215. Sul dionisismo nella regalità
ellenistica cfr. GEAGAN 1972, pp. 146-148. Cfr. DELTA I, 416,5: basileva mevgan
Ptolema‹on qeo;n Nevon Diovnuson Filopavtora kai; Fila[de]vlfon […]. Sulla identificazione di Tolomeo IV (222-204 a.C.) con Dionisos cfr. anche FREDRICKSMEYER 1979,
pp. 41-42; per Mitridate ID., 1979, p. 42; per Antigono cfr. Erodiano I, 3.3. Il mondo
romano tardo repubblicano offre immagini analoghe a quelle dei re ellenistici. Gaio
Mario, dopo il trionfo su Giugurta, «beveva sempre in un cantaro, perché si diceva
che Dioniso, guidando dall’Asia il suo corteo dopo il trionfo in India, avesse usato un
boccale di questo tipo: così ad ogni sorso di vino poteva confrontare le sue vittorie
con quelle del dio» (Val. Max. III, 6, 6). Cfr. ZANKER 1989, pp. 10-11. Tuttavia un tale
atteggiamento, come per esempio quello tenuto da Antonio che entrò ad Efeso con
un corteo dionisiaco, mascherato del dio, è in questa fase ancora visto come una
forma di comportamento non pienamente accettabile nell’ambito del mos romano.
Allo stesso tempo, Marco Antonio, novello Herakles, da cui discendeva tramite un
supposto figlio del dio di nome Antonio, è forse raffigurato in vestiti femminei su un
carro trainato da centauri in un corteo non dissimile a quelli dionisiaci insieme ad
Onfale, su un secondo carro, vestita con le armi del dio, che sta per ricevere un kantharos di vino da un’ancella. (cfr. ZANKER 1991, pp. 62-71). Queste forme di imitatio
d’altra parte vanno nella direzione già tracciata da Alessandro. L’Anabasi di Arriano
contiene diversi episodi in cui il re si confronta con le imprese di Dioniso (e anche di
Herakles) che lo aveva preceduto nel suo viaggio verso l’india, tuttavia l’episodio più
significativo avviene sulla strada del ritorno, dove «Alessandro, avendo fatto riunire
due carri coperti e standovi sdraiato con i compagni, al suolo del flauto avanzava
attraverso la Carmania, che il suo esercito lo seguiva con corone in testa e scherzando, che per essi erano disponibili provviste e ogni altro genere di lusso depositati ai bordi della strada dai Carmani e che ciò era stato ideato da Alessandro a imitazione del baccanale di Dioniso […]» (Arriano, Anabasi, 6, 28).
Sulle implicazioni delle figure di madri nella ideologia imperiale cfr. MORELLI 2009,
in particolare per i Severi pp. 127-151.
La popolazione indiana dei Malli assimila Alessandro a Dioniso proprio per la sua
paternità divina (Arriano, Anabasi, 6, 14.2).
ZANKER, EWALD 2008, pp. 148-149 e 312-316.
135
Luigi M. Caliò
Fig. 2. Sarcofago di Baltimora:
veduta d’insieme e dettaglio.
Da ZANKER, EWALD 2008
La patera di Rennes, però, appartiene probabilmente ad un ambito privato (anche se gli scarsi dati di rinvenimento non permettono
ipotesi sul contesto specifico di provenienza) dove la rappresentazione dell’imperatore, defunto o meno, può assumere valenze diverse,
legate alla sfera sociale e religiosa cui il proprietario apparteneva;
può quindi assumere valore analogo alle testimonianze di dediche in
cui il proponente si dichiara “amico degli dei, caro all’imperatore” o
in ogni modo testimoniare una relazione particolare con il dinasta o
la sua casa. Nella sfera privata il culto imperiale può assumere anche
significati salvifici e individuali. Il caso più eclatante è quello di Marco
Aurelio che, divinizzato a furor di popolo ancor prima della sepoltura,
136
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
era stato accolto tra i penati nelle abitazioni private e la sua ombra
apparsa in sogno era ritenuta profetica22.
In ambito privato, dunque, l’aspetto soteriologico e personalistico
è maggiormente sottolineato. Un complesso funerario di difficile lettura come quello dei Valerii nella necropoli vaticana ripropone in
ambito funerario il rapporto tra immagine imperiale e dionisismo. La
tomba è decorata lungo le pareti con nicchie e altorilievi che rappresentano divinità, immagini allegoriche e figure umane separate da
hermai che supportano teste di satiri, menadi e indiani. Se la figura
principale della decorazione sul lato orientale (fig. 3), accanto alle
immagini dionisiache, è da identificare in Marco Aurelio divinizzato,
come propone Margherita Guarducci, ci troveremo di fronte ad un
orizzonte culturale simile a quello della patera di Rennes23. Tuttavia la
maggiore complessità delle rappresentazioni permettono una più
profonda interpretazione dell’aspetto allegorico elevandolo ad una
dimensione cosmologica e salvifica.
È proprio questo aspetto cosmologico e soteriologico che permette, infatti, l’identificazione tra i misteri imperiali e quelli dionisiaci, che
nel tardo impero acquistano valore universalistico ed escatologico24.
La critica che il dionisismo riceve dagli apologeti cristiani, notazioni
come quelle di Giustino sul rapporto tra riti cristiani e dionisiaci e l’uso
di un linguaggio dionisiaco da parte di Clemente Alessandrino, confermano questo sviluppo del culto bacchico, che si confonde e rivaleggia con altri culti misterici coevi e anche con il cristianesimo, che,
d’altronde, partecipa dello stesso linguaggio25.
Nella stessa direzione sembra andare l’interpretazione della figura
di Ercole. L’eroe per la sua natura aveva già avuto profondi legami con
la tirannide arcaica e in particolare con i Pisistratidi, ma i suoi rapporti con il culto dinastico del basileus diventano importanti soprattutto
con Filippo II, del quale era l’antenato. Il processo di identificazione
del re con l’eroe non è ancora completato, ma la testimonianza di un
culto decretato dai nomoteti nel santuario di Herakles al Kynosargos
22
23
24
25
SHA, Vita Marci Antonini Philosophi, 18, 3-8. Cfr. GUARDUCCI 1953, p. 12; Fishwick
1990, p. 483.
Sulla tomba cfr. CALIÒ 2007. Si veda da ultimo anche LIVERANI, SPINOLA 2010, pp.
92-108.
Sulla dimensione salvifica del dionisismo nel medio e tardo impero cfr. CALIÒ 2007,
pp. 308-309 con bibliografia precedente.
Cfr. BRENT 1998.
137
Luigi M. Caliò
Fig. 3. Necropoli Vaticana. Tomba dei Valerii. Da LIVERANI SPINOLA 2010
138
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
sembra andare in questo senso26. Alessandro continua poi sulla strada di Filippo fino a superare per imprese lo stesso Herakles27.
La scena di simposio con Dioniso ed Eracle è più rara. Si ritrova,
ma non con lo stesso schema iconografico, su un mosaico ad
Antiochia dell’inizio del II secolo d.C.28 (fig. 4) che decorava il pavimento di un triclinium della Casa dell’Atrium, a Seleucia, su un altro
pavimento musivo di epoca severiana29, a Sepphoris in Palestina, su
un mosaico che costituiva il pavimento del triclinium di un edificio
monumentale30. Il tema viene ripreso nella metà del V secolo d.C.
nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli, in cui Dioniso, recatosi a Tiro,
viene invitato ad un banchetto a base di nettare e ambrosia da
Herakles. L’intera scena è sublimata in un orizzonte cosmico e universale di cui l’attore principale è l’Herakles Astrochiton, dalla tunica
di stelle. Questo aspetto universalistico viene mantenuto ancora nella
scena del trionfo di Bacco ed Ercole su un piatto del tesoro di
Mildenhall di IV secolo, che si dipana con movimento circolare intor-
Fig. 4. Antiochia, Casa del Triclinium. Mosaico pavimentale. Da LEVI 1947
26
27
28
29
30
FREDRICKSMEYER 1979.
Cfr. Arriano, Anabasi, 5, 26.5: «o non sapete che il nostro progenitore non restando a Tirinto o ad Argo e neppure nel Peloponneso o a Tebe conseguì una tale fama
per cui da uomo che era, divenne o fu creduto un dio? Né poche furono le fatiche
di Dioniso, un dio questo più illustre di Eracle. Ma noi siamo arrivati al di là di Nisa,
e la rocca di Aorno, imprendibile per Eracle, è nostra».
LEVI 1947, pp. 22-23; LING 1998, p. 50, fig. 36
LING 1998, p. 53, fig. 36.
MEYERS, NETZER, MEYERS 1987; FOUCHER 2000.
139
Luigi M. Caliò
Fig. 5. Tesoro di Mildenhall. Su licenza del British Museum
no ad Oceano e ad un corteo minore di naiadi e tritoni31 (fig. 5). Anche
Eracle, come Dioniso, è dio legato alla regalità fin dai tempi della
tirannide ateniese (per rimanere nell’ambito della cultura classica). In
periodo imperiale il legame tra dinasta ed Ercole cresce e sembra
codificarsi con Domiziano, per poi divenire più strutturato in età successiva. Commodo si era fatto ritrarre come Ercole32 (fig. 6) e in
31
32
140
PAINTER 1977
Cfr. il busto di Commodo Eracle del Palazzo dei Conservatori, con pelta amazzonica, cornucopie, globo e segni zodiacali che propone il modello cosmologico di
Eracle che sarà poi ripreso nell’Eracle Astrochiton di Nonno. Sul rapporto tra
Commodo ed Eracle cfr. anche Erodiano 1, 15.8-9. Questa interpretazione cosmologica della figura imperiale era già stata ripresa da Elio Aristide per Antonino Pio che
il retore assimila con Zeus, ordinatore (kosmetès) dell’universo e padre degli uomini.
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
modo analogo aveva fatto Settimio Severo su un medaglione del
20233.
La coppia Hercules e Bacchus è spesso associata alla dinastia
severa e aveva un culto importante come Dii Patrii di Leptis Magna34.
In onore di queste due divinità, sul Quirinale fu costruito un tempio di
grandi dimensioni (figg. 7a-b) che probabilmente ha costribuito a rendere canonica la coppia divina legandola alle virtutes dell’imperatore35.
Fig. 6. Museo dei Conservatori.
Commodo Herakles. Da
BIANCHI BANDINELLI 1969
33
34
35
Cfr. QUET 2001, con bibliografia. Per la rappresentazione dello zodiaco come simbolo universalista cfr. QUET 2004. In genere sull’identificazione della figura imperiale con
Herakles a partire dal regno di Commodo cfr. WEINSTOCK 1957, pp. 242-243; MCCANN
1968, pp. 65-66. Il motivo viene ripreso in ambito funerario con evidente funzione
salvifica per esempio nella tomba tardoseveriana dei Secondinii a Igles, presso
Treviri (VON HESBERG 1994, pp. 182-183). Nella villa di Piazza Armerina Ercole cacciatore e venator riprende un tema già caro a Commodo (SHA, Comm. 8.5; cfr. SETTIS
1975, p. 943) che mette in relazione la caccia dell’eroe con le venationes nell’anfiteatro, ma richiama anche un sistema ideologico legato alla regalità che trova le sue
radici nelle cacce dei re orientali e poi di Alessandro Magno.
GNECCHI 1912, pl. 152, 6; MCCANN 1968, p. 56.
GUIDI 1934; DI VITA 1968. Nel foro vecchio di Leptis Magna a fianco del tempio di
Roma e Augusto erano gli edifici dedicati a Liber Pater e a Milk’Ashtar Ercole; cfr.
DI VITA, LIVADIOTTI 2005. Sul problema anche RIVES 2001, pp. 433-435.
Cassio Dione, 77, 16.3; PLATNAUER 1918, p. 147; MCCANN 1968, p. 56.
141
Luigi M. Caliò
Fig. 7a. Tempio del Quirinale. Prospetto ricostruttivo dei lati orientale e occidentale.
Acquarello di Gustav-Adolphe Gerhard, 1971. Da TAYLOR 2004
Nella monetazione dei Severi, come sulle monete che celebrano i Ludi
Secolari del 204, compaiono Ercole e Libero, interpretati come i due
Augustii, Severus e Caracalla36. L’associazione della coppia imperiale
con le due figure divine si basa su una nuova concezione dell’Impero
che proprio con in Severi cerca le sue radici nella regalità macedone e
in particolare in Alessandro Magno37. La discendenza degli Argeadi da
Herakles offriva un precedente che viene riproposto dai Severi con l’or-
36
37
142
Recentemente è stata avanzata l’ipotesi di identificazione del tempio con la grande struttura che occupa l’area di Palazzo Colonna e parte della Piazza del
Quirinale. Cfr. SANTANGELI VALENZANI 1991-1992; SANTANGELI VALENZANI 1996; TAYLOR
2004, che ribadisce l’appartenenza dell’edificio al culto di Serapide. Cfr. SETTIS
1975, pp. 975-977, che analizza le rappresentazione del triclinio della villa di
Piazza Armerina alla luce delle virtutes dell’imperatore proprietario della villa, che
lo stesso Settis identifica con Massezio.
TOCCHI 1956; MCCANN 1968, p. 56; FISHWICK 1973, pp. 644-645. Si veda inoltre una
moneta con Geta e Caracalla che si stringono la mano nello schema della
Concordia Augustorum incoronati da Ercole e da Bacco. Cfr. SETTIS 1975, p. 972.
Identificazione che secondo Cassio Dione era già stata perseguita da Commodo.
Cfr. LXXVII, 7-9.
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
Fig. 7b. Tempio del Quirinale. Pianta di Rodolfo Lanciani. Da LANCIANI 1990
143
Luigi M. Caliò
Fig. 8. Mosaico dell’abside settentrionale del Triclinio di Villa Armerina.
Da GENTILI 1959
ganizzazione a Roma di un Agon Herculeus in onore di Alessandro38; a
questo proposito J. Gagé ha messo in rilievo la profonda continuità nei
modi di rappresentazione tra Alessandro e i Severi39. Dioniso ed Ercole
sono ancora protagonisti nelle rappresentazioni musive del triclinio
della Villa di Piazza Armerina con allusioni importanti alla figura dell’imperatore (fig. 8). Nell’abside settentrionale, infatti, viene raffigurata
l’apoteosi di Ercole che, introdotto presso Giove da Dioniso (che si
sostituisce alla più consueta Athena), viene incoronato con uno schema caro alla rappresentazione imperiale e che si ritrova nelle raffigurazioni monetali o anche nella grande arte ufficiale, come nell’arco di
38
39
144
SHA, Vita Sev. Al., 50; cfr. GAGÉ 1975, p. 3. Sull’identificazione di Alessandro con
Herakles cfr. ANDERSON 1928; MCCANN 1968, p. 65.
GAGÉ 1975, pp. 9-10.
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
Benevento, dove Traiano è incoronato da una Victoria40. Chiaramente
la ripetizione dello schema per i due tipi di rappresentazioni doveva
creare immediatamente un’analoga sovrapposizione di significati già
analizzata per il sarcofago di Baltimora sul quale è raffigurato Dioniso
incoronato da una Nike.
La patera, dunque, si inserisce in un contesto storico e sociale
particolare in cui il culto imperiale sembra giungere ai suoi esiti ultimi; tale trasformazione conosce uno sviluppo importante soprattutto
in Gallia dove, a partire dai primi Severi fino agli anni dell’anarchia
militare, il culto subisce una radicale trasformazione legata alla risistemazione del culto federale delle Tres Galliae41. La novità maggiore consiste nel fatto che l’imperatore vivente diventa il focus di una
nuova forma di culto centrato intorno un grande altare a lui dedicato
che si doveva trovare presso il tempio federale presso il quale Roma
e gli Augusti divinizzati continuarono a ricevere il loro culto. La svolta enfatica verso l’imperatore vivente è sintomatico degli eventi che
hanno portato i Severi al trono ed è rilevabile non solo in Gallia, ma
anche nelle provincie danubiane.
Da un punto di vista iconografico la figura dell’imperatore è sempre
più associata, su monete, iscrizioni e bassorilievi, a divinità come
Juppiter, Hercules, Bacchus, Juppiter-Serapis; anche la famiglia imperiale è spesso ritratta in compagnia di divinità o di personificazioni. Da
una parte continua il sistema tradizionale di divinizzazione post mortem
con tutto il sistema culturale che ne deriva, dall’altra si crea un elaborato cerimoniale nei riguardi del sovrano in carica che viene invocato
con il titolo di Dominus Noster, epiteto magniloquente che qualifica di
per sé stesso la natura divina delle azioni dell’imperatore. Materiale
40
41
SETTIS 1975, p. 970. Nell’esedra meridionale dello stesso triclinio è rappresentata,
come pendant dell’apoteosi di Ercole, la vittoria di Bacco su Licurgo. Anche in questo caso, come ha notato S. Settis, «il gesto della menade (che irrompe contro
Licurgo brandendo la lancia) è dedotto dalla tradizione iconografica dei temi della
virtus imperiale – del principe come debellator hostium, che combatte contro un
nemico o contro una belva – e rappresenta, nella serie delle rappresentazioni del
mito, un hapax evidentemente elaborato per mettere nel massimo risalto il significato trionfale della vittoria del dio sul suo empio avversario» (SETTIS 1975, p. 973).
Il culto è stato fondato nel 12 a.C., forse per iniziativa del principe imperiale Druso
in seguito alle agitazioni per i censimenti. Come sottolinea Greeg Wolf (WOLF 1998,
pp. 216-217) il santuario fu unico nel suo genere e organizzato secondo strutture
religiose occidentali, con un sacerdozio stabile e cerimonie annuali che venivano
celebrate anche con giochi gladiatorii. Tuttavia il modello più immediato furono le
assemblee provinciali greche come quelle del koinon d’Asia.
145
Luigi M. Caliò
epigrafico provinciale ricorda inoltre la Domus Divina e il Numen dell’imperatore e riporta la formula devotus numini maiestatique eius; questo processo si riconosce con una certa insistenza nelle testimonianze
di Lugdunum42. Una prima riforma del culto nel santuario federale, che
doveva includere pratiche legate ai Divi, si data probabilmente già in
età adrianea43; il processo diviene più aperto con Caracalla, che si
autonomina Numen praesens, e con la creazione dei Flamines, che tuttavia sembrano scomparire già nei primi anni del III secolo d.C.44. A
Lugdunum, accanto al tempio di Roma e Augusto continua ad esistere l’ara per il culto dell’imperatore dedicata non all’Augusto ma al
Cesare (o Cesari al plurale per le associazioni all’impero). Il termine
Cesare ha un’accezione più personale e individuale rispetto ad
Augusto che si riferisce al ruolo imperiale della figura. Questa nuova
funzione personalistica del culto è aumentata dalla qualifica di noster
che spesso gli è affiancata. Il ruolo del fedele è quasi ridotto a quello
di un familiaris rispetto al paterfamilias e la nuova relazione tra imperatore e sudditi è risolta in termini esclusivamente religiosi. Il culto è ora
officiato ad ara Caesari nostri/Caesarorum nostrorum, possesso diretto dell’imperatore regnante, come negli altri casi lo è delle altre divinità. Il carattere personale del culto porta ora definitivamente alla scomparsa di Roma nella titolatura del santuario.
Per Duncan Fishwick il culto del Cesare regnante presso un altare
federale è unico nell’impero occidentale e va letto all’interno di un contesto politico più ampio. I rapporti tra Settimio Severo e Lugdunum
sono precedenti alla sua ascesa all’impero e risalgono al momento in
cui fu nominato legato della provincia Lugdunese45, tuttavia, a dispetto del legame tra i Severi e la città, Lugdunum si è schierata con
Clodius Albinus e ha pagato tale scelta con la sua distruzione e l’eliminazione dei seguaci di Clodio. Ciononostante, la città divenne il centro
del riformato culto dei Cesari, a proposito del quale le iscrizioni non
42
43
44
45
146
Come nota D. Fishwick (FISHWICK 1970b), il culto degli Augusti nel mondo celtico
contempla anche il culto dell’imperatore vivente già durante il I secolo d.C., ma
solo alla fine del secolo successivo questo diventa più strutturale, organizzandosi
intorno all’altare riservato agli imperatori viventi, presso il tempio degli Augusti.
FISHWICK 1972.
In oriente il sistema sembra iniziare già in periodo Giulio Claudio (FISHWICK 1970a,
pp. 299-302), mentre a Tarraco il culto dell’imperatore vivente è affiancato a quello dei Divi e della Dea Roma già a partire dai Flavi (FISHWICK 1970a). Sull’adventus
dell’imperatore come Deus Praesens cfr. MACCORMACK 1995, pp. 31-44.
SHA 10, 3.8. Cfr. anche 4.1: «A Gallis ob severitatem et honorificentiam et abstinentiam tantum quantum nemo dilectus est».
La patera di Rennes. Uno studio iconologico
sono precise sulla data di istituzione, ma che dovette essere organizzato probabilmente tra la fine del 198 e l’inizio del 199, in seguito alla
vittoria di Caracalla o piuttosto alla sua nomina come Augusto il 28 febbraio 198; probabilmente nelle sue fasi iniziali il culto va inteso come
una forma repressiva verso gli sconfitti46.
Il processo continua per gran parte del III secolo con una serie di
ramificazioni anche nei distretti più periferici. A Rennes il culto imperiale con un sacerdote di Roma e Augusto nei pressi del santuario di
Mars Mullo, è attestato da una serie di epigrafi che portano dediche
probabilmente provenienti da pagi diversi e che testimoniano la vitalità del culto nella provincia47.
La patera di Rennes è un documento difficile, la cui lettura non è
univoca, ma legata ai sistemi interpretativi e allegorici che di volta in
volta si utilizzano. La difficoltà deriva non solo dalla nostra incapacità esegetica, ma anche dalla forte ambiguità culturale di un periodo
storico in cui i motivi religiosi, politici e sociali tradizionali subiscono
un forte rinnovamento che porta cambiamenti e profondi dissidi.
Questo percorso non ancora sarà concluso ancora nell’età di Nonno,
nella cui opera il vecchio e il nuovo mondo convivono.
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